Abbazia di San Bernardo

Storia

Il complesso fu fondato quale dipendenza diretta della non lontana abbazia di Chiaravalle della Colomba il 5 maggio del 1142, da un gruppo di dodici monaci cistercensi; i frati, guidati dall'abate Viviano promossero i lavori di costruzione di un insieme di edifici composto da una chiesa, una biblioteca, un refettorio, una cucina, una dispensa e i numerosi dormitori per i monaci, disposti, come consuetudine delle abbazie cistercensi, attorno a un grande chiostro quadrato. Il terreno di circa 8,5 biolche parmigiane, all'epoca disabitato e paludoso a causa dei numerosi fontanili presenti in zona, donde il nome di "Fons vivus" (Fontevivo), fu loro donato dal vescovo di Parma Lanfranco e dal marchese Delfino, figlio di Oberto I Pelavicino. I frati intrapresero inoltre un'importante opera di bonifica della zona, compresa tra il fiume Taro e il torrente Stirone e bagnata anche dalle acque del Taro morto. Nel 1144 il papa Lucio II confermò all'abate Viviano le proprietà del convento, ponendolo sotto la protezione della Santa Sede. Nel 1245 l'abbazia fu occupata e saccheggiata dall'esercito dell'imperatore Federico II di Svevia, poco prima dell'assedio di Parma, che si sarebbe concluso solo con la battaglia del 1248. Verso la fine del XIII secolo la chiesa originaria, all'epoca dedicata a Maria Vergine, fu ricostruita sull'imponente impianto basilicale attuale. Agli inizi del XV secolo il complesso iniziò un lento declino, a causa dell'istituto della commenda, che comportò una drastica riduzione delle rendite su cui si reggeva. Ciò non fermò tuttavia la costruzione della facciata della chiesa, che fu completata all'epoca. Nel 1483, durante la guerra dei Rossi, il monastero fu occupato e danneggiato dalle truppe milanesi di Ludovico il Moro. Nel 1497 l'abbazia fu aggregata alla Congregazione italiana di San Bernardo, con la conseguente reintitolazione della chiesa al santo cistercense. Nel 1518 il papa Leone X ne decretò l'unione alla Congregazione cassinese dell'abbazia benedettina di San Paolo fuori le mura, causando l'allontanamento degli ultimi monaci cistercensi nel 1546. Nel 1605 il complesso fu acquistato dal duca Ranuccio I Farnese, che fece tracciare dall'ingegner Smeraldo Smeraldi un viale di fronte al tempio, al termine del quale fece edificare la chiesa dei Cappuccini, con relativo convento oggi non più esistente. Nel 1614 la giurisdizione spirituale sul monastero fu trasferita all'abbazia di San Giovanni Evangelista di Parma, mantenendo l'autonomia rispetto al vescovo cittadino. Nel 1728 il duca Antonio Farnese, al fine di rientrare in possesso della rocca Sanvitale di Sala Baganza, decise di concedere il monastero in uso al collegio dei Nobili come residenza estiva; si impegnò quindi a ristrutturare a sue spese la struttura e avviò immediatamente i lavori, che tuttavia, benché in stato avanzato, si interruppero bruscamente nel 1731 in seguito alla sua morte. Nel 1733 il nuovo duca Carlo di Borbone riavviò il cantiere e offrì temporaneamente all'istituto il suo palazzo di Borgo San Donnino, di cui tuttavia l'anno seguente la duchessa Enrichetta d'Este, in qualità di vedova di Antonio Farnese, decise di prendere possesso; nell'agosto del 1734, quindi, i religiosi dovettero trasferirsi nell'abbazia di Fontevivo, nonostante i lavori ancora in corso, che furono conclusi solo nel 1737. Nel 1780 il nuovo duca Ferdinando di Borbone, profondamente legato all'abbazia, incaricò il pittore Antonio Maria Ferrari della decorazione del salone delle Accademie; nel 1791, inoltre, fece costruire alcune sale affacciate sul chiostro e un teatro al piano terreno, al posto della cappella per i convittori, che fu spostata al primo piano. Negli anni seguenti il Duca finanziò nuove opere di ampliamento del collegio, ma il 9 ottobre del 1802 morì improvvisamente a Fontevivo dopo aver assistito a una rappresentazione nel teatro dell'abbazia e i cantieri, benché già avviati, furono bruscamente interrotti. In seguito all'annessione del ducato di Parma e Piacenza all'impero di Francia, i gesuiti furono cacciati e, nel 1806, il collegio dei Nobili fu laicizzato; le famiglie ritirarono in segno di protesta i loro figli dalla scuola, che fu chiusa. Con la Restaurazione, nel 1815 la duchessa Maria Luigia riaprì il collegio, affidandolo ai padri benedettini dell'abbazia di San Giovanni Evangelista; tuttavia, gli anni seguenti furono segnati da una progressiva decadenza. Nel 1831, in seguito alla fusione del collegio dei Nobili col collegio Lalatta nel collegio ducale Maria Luigia, il monastero continuò a essere utilizzato come residenza di villeggiatura estiva, fino al definitivo abbandono verso la fine del XIX secolo. Nel 1849 fu sciolta la congregazione di San Giovanni e la chiesa divenne sede parrocchiale, ma il quadro si ribaltò cinque anni dopo; la situazione fu chiarita solo nel 1892, quando i benedettini dovettero abbandonare la giurisdizione spirituale sul luogo di culto, che fu in seguito trasformato definitivamente in parrocchia, alle dipendenze della diocesi di Parma. Nel 1987 l'ex abbazia, all'epoca adibita a residenze popolari, laboratori e negozi, fu acquistata dal comune di Fontevivo, che ne avviò il restauro e il recupero quale sede di una struttura alberghiera, di un ristorante e, dal 2012, del piccolo Museo delle Fisarmoniche.